Cos’è che non condividi dell’approccio filosofico a cui ti riferivi in precedenza?
Io ritengo che l’agricoltura biodinamica non abbia bisogno per forza di un sostegno filosofico essendo essa un’attività pratica. Tutto quello che esce fuori dalla prassi è da prendere in considerazione ma rientra, a mio avviso, in quella che potremmo chiamare sfera personale; la biodinamica è in ogni caso – invece – una metodologia, un modo di fare, un approccio all’ambito gestionale-agricolo come all’ambito della conoscenza del mondo naturale. La filosofia invece non ha nulla di netto, è qualcosa che può lasciar intendere dell’altro.
Questo modo di vedere le cose apre le porte a quella che tu definisci “Agricoltura Biodinamica Moderna”? Potresti chiarircene i tratti?
“Agricoltura Biodinamica Moderna” significa conservare integralmente i principi fondamentali della biodinamica adeguandoli al contesto socio-produttivo ed economico del nostro tempo. Significa applicare un modello di lavoro che, partendo dai postulati steineriani, ha prodotto inoppugnabili risultati nella pratica agricola ordinaria. Essa propone di identificare e diffondere un metodo operativo applicabile e inconfutabile, dove l’uomo, riappropriatosi della sua interezza – senza necessità di separazione tra la dimensione spirituale e quella fisica – ha la capacità di essere libero nella conoscenza della natura e nella sua trasposizione in atti agricoli.
Prendendo spunto da questa visione puoi disegnare la figura di colui che quotidianamente compie l’atto agricolo?
Partendo da quello che è stato detto in precedenza possiamo affermare che non abbiamo necessità di un agricoltore che sia “spiritualmente” preparato; il contadino deve essere semplicemente un contadino e non gli servono ulteriori sovrastrutture per arrivare all’agricoltura. Praticando la biodinamica lui potrà però seguire un percorso che potremmo definire inverso: si renderà conto che le conoscenze che ha in campo materialista non rappresentano la natura e che ottenendo dei risultati con il metodo, potrà risalire ad una “nuova” concezione – che poi è antichissima – in grado di mostrargli il funzionamento dell’ambiente che lo circonda e delle forze che lo muovono; il contatto con tali meccanismi, successivamente, gli permetterà di innescare dei processi che potremmo definire introspettivi. In buona sostanza, egli non deve prima essere un indottrinato per poter applicare la biodinamica, non deve frequentare scuole di pensiero per riferirsi a questa pratica.
Vinibiodinamici® è un tuo marchio registrato. Possono fregiarsi di questa dicitura i vini prodotti sul territorio italiano da aziende che seguono il metodo biodinamico moderno e sono riconoscibili – peraltro – da un apposito collarino riportante questa definizione. Perché hai creato questo marchio?
Non c’è un’unica finalità. Innanzitutto c’è stata la volontà di palesare come la biodinamica non sia soggetta ad un monopolio, nessuno può “possederla” in maniera assoluta. Anche sotto questo punto di visto non credo sia possibile una visione univoca, ci sono modi diversi di intendere questo modo di fare agricoltura; io faccio la Biodinamica Moderna, ho messo a punto un modo di fare il vino a partire dalla vigna e questa indicazione sta a sottolineare che in quella determinata azienda si è seguito un preciso processo operativo. Non si tratta di una certificazione ma è vero che la ricerca portata avanti da alcuni anni con diversi istituti di ricerca (quest’anno ad esempio le Università di Bologna e di Siena) sfocerà in un sistema – ancora in fase di sviluppo – che siglerà il “fare biodinamico”, sia in vigna che in cantina. Si tratterà di una serie di valutazioni oggettive basate sui risultati ottenuti, più che di un iter da seguire a prescindere. Ci sarà dunque la possibilità di valutare i risultati, basandosi su parametri legati alla pianta e ai terreni, che ci permetteranno di verificare se la biodinamica ha dato o sta dando realmente i suoi frutti. Non è il caso di ridurre la biodinamica, come qualcuno vorrebbe, semplicemente ad una checklist attuata.
Alcune realtà produttive hanno giocato, per un lungo periodo, sul filo del rasoio mettendo il racconto e l’aspetto teorico a traino di vini talvolta zoppicanti dal punto di vista organolettico. Ora è più chiaro che un vino difettoso è difettoso, un vino buono è buono. Quale è il tuo punto di vista a riguardo?
Condivido pienamente l’analisi. Se un vino biodinamico non è eccellente la responsabilità è solamente dell’uomo. Si può produrre un prodotto di qualità servendosi esclusivamente degli elementi naturali al contempo occorre ricordare com’è possibile produrre una cattiva bevanda a base d’uve servendosi delle tecniche enologiche e degli ausili fisici e chimici. Sin dal 2009 abbiamo portato all’interno del Vinitaly i nostri Vinibiodinamici® con l’idea di cercare un confronto dal punto di vista organolettico con i prodotti frutto di dinamiche convenzionali e dimostrarne così la correttezza e la qualità imprescindibile dei progetti che portiamo avanti; questo proprio per uscire dal luogo comune che vedeva sottolineare come caratteristiche proprie quelle che erano al contrario anomalie, processo che ha screditato per molti anni sia il vino biologico che biodinamico.